Caso, l’intervista.

schiaffoni
5 min readMar 30, 2022

Io: Ciao Caso. Ho scoperto i tuoi dischi nel periodo in cui ho cominciato a dedicarmi all’arrampicata e a scoprire i grandi scalatori passati (Bonatti, Maestri, Comici) e quindi, se vogliamo, c’è stata una sorta di scoperta parallela. “Parete nord”, “Fino agli alberi sottili” per poi arrivare a “Cervino”. Come mai tutti questi rimandi alla montagna? Sei un montanaro anche tu oppure semplicemente cercavi delle metafore?

Caso: Ciao, grazie per questo spazio. Vivo in una città vicina alle montagne ma non ci vado spesso. Solo dopo aver scritto Parete Nord ho conosciuto e approfondito la figura di Bonatti, mi sono innamorato della sua impresa epica sul Cervino e ho trovato analogie, forse le ho cercate, insomma mi sono lasciato un po’ prendere: un disco intitolato così e il riferimento nel testo di Atletica Leggera. Ogni tanto dopo i live qualcuno mi chiede consigli su escursioni o mi racconta le proprie scalate, io di solito aggancio il moschettone e mi lascio trascinare perché sono storie che mi affascinano, in più mi sembra potente che partendo da una mia canzone ci troviamo a non parlare di musica in una sala concerti. In chi racconta di solito trovo una schiettezza, una semplicità nella quale anche io mi riconosco nonostante le metafore.

Io: Anni fa avevamo parlato, più o meno degli stessi argomenti, poco prima del tuo live alla Stazione Gauss di Pesaro (gran locale che però ha fatto una finaccia) e anche dopo un tuo live circolo Arci Artigiana di Fano. Ricordo una estesa affabilità e tranquillità nel vostro approccio al contesto del suonare. Ho avuto a che fare con gruppi giovani molto più altezzosi ed esigenti. Mi interrogavo se, secondo te, dipende dall’età o è semplicemente una cosa caratteriale.

Caso: Probabilmente dipende dai modelli che uno ha avuto e che lo hanno formato. Io sono cresciuto senza idoli, andando a concerti minuscoli di gruppi sconosciuti che sul palco raccontavano se stessi, in maniera emozionale o violenta ma molto lontano dall’idea di essere superiori; il palco come punto di incontro, non come un gradino più alto. Su alcuni dischi scrivevano “no musicisti, persone”; c’ho sempre creduto. Sul palco ho sempre cercato di portare in maniera trasparente me stesso, cosa difficile sotto le luci colorate che mischiano ansia, adrenalina, egocentrismo che tutti abbiamo quando ci saliamo. Quindi a volte la persona che sono sul palco non è perfettamente sovrapponibile a quella che sono quando sto sotto, però mi sforzo perché siano il più somiglianti possibile. Poi se invece uno è stronzo sotto probabilmente è stronzo e basta. Non se mi son spiegato.

Io: I testi dei tuoi brani sono molto lunghi e complessi da ricordare a memoria. Un po’ come i testi dei vecchi dischi rap (mi ricordo a memoria tutti i testi dei Sangue Misto) che sono molto lunghi, anche tu hai questo modo di scrivere prolisso e a tratti quasi nervoso. Nei testi mi piacciono molto i rimandi personali che coincidono anche col mio background oppure rimandano a cose a cui sono legato, come ad esempio i testi dei primi dischi e I Cani. Il rimando agli alberi sottili, oppure la maglietta dei Karate e il fatto che fai il giro più lungo in macchina per aspettare che finisca la canzone nell’autoradio. Per non parlare dell’aranciata amara che, servita con del ghiaccio, è la bevanda più dissetante dell’estate (altro che l’orzata). Come mai scrivi dei testi del genere? E’ una ricerca artistica oppure è solo il tuo modo di essere?

Caso: Mentre scrivevo il mio primo disco Dieci Tracce ero indeciso se scrivere canzoni o scrivere e basta, poi visto che le canzoni riuscivo a chiuderle ho scelto quello. Forse ho trovato un compromesso. Comunque hai ragione, sono lunghi, impegnativi da ricordare e alcuni anche da ascoltare credo. Ormai è di prassi che sul palco dimentichi qualche parola o frase, mi sono convinto di avere un problema di memoria su cui non voglio indagare, preferisco usare l’alibi di averne scritte parecchie o più semplicemente accettare che ancora nei live mi tremino un po’ le gambe. I rapper davvero non so come facciano, l’eccesso di autostima probabilmente aiuta.

Io: Musicalmente ho trovato, nei tuoi brani, diversi riferimenti. Forse sono troppo imprudente ma ci sento un po’ di Hüsker Dü e anche un po’ di Bruce Springsteen, quest’ultimo dovuto forse all’uso della Telecaster. Mi ti immagino come un ascoltatore onnivoro. In tutte queste mie supposizioni c’è del vero o del falso?

Caso: I due esempi che fai mi piacciono molto. Se si parla di riferimenti quando ho iniziato volevo trovare un punto di incontro tra De Gregori e Billy Bragg, ora non so più in che direzione sto andando. In quello che ascolto cerco qualcosa che mi emozioni, in una frase, nel suono di una chitarra, in uno stacco di batteria, in un arrangiamento di fiati. Sono sempre alla ricerca, ascolto musica per quello; da giovane lo cercavo quasi solo nel punkrock, poi ho rotto le catene. Ieri pomeriggio ho ascoltato per tre volte “Avrai” di Baglioni, in macchina con i finestrini giù.

Io: Il tuo nome d’arte, o moniker, è, se non erro, la contrazione del tuo cognome che sembra essere quasi una costante di voi neo cantautori rock (vedi anche Setti). Un nome fin troppo generico visto che se cerchi “caso” su Google Immagini viene fuori di tutto. Sei sempre stato Caso o in passato hai avuto altri progetti musicali?

Caso: Gli amici mi han sempre chiamato così, non me lo sono scelto, quasi non ne ho avuto il tempo. Non mi piace molto, ma va bene, sicuramente ne avrei scelto uno che comunque adesso non mi piacerebbe. Perché i gusti cambiano nel tempo ed è giusto. Quindi va bene così anche se è super generico, difficile da trovare on line, un sacco di omonimi e si presta a giochi di parole elementari che non riesco mai a evitare. Per il resto sì, ho avuto delle band in cui suonavo un altro strumento ma sono cose lontane ormai, ricordi piacevoli che condivido con amici con cui sono cresciuto. Ecco, se c’è una cosa che mi manca è quella di suonare con la gente con cui sono cresciuto.

Io: Ormai è quasi un esercizio di stile. In quasi tutte le mie interviste chiedo all’intervistato un disco, un libro e un film che ha apprezzato di recente. Questo ha un duplice scopo: sia divulgativo, in modo che l’intervistato possa farsi capire meglio al pubblico esponendo ciò che gli piace; sia egoistico, ovvero scopro cose e prodotti che magari prima non conoscevo. Quindi quale disco, libro, e film ti sentiresti di elencare?

Caso: Guarda, se devo dire dei film posso consigliare solo cartoni animati visto che il mio bimbo ha tre anni e la tv la guardiamo assieme; al cinema ci vado raramente. La scorsa estate ho alternato le poesie di Pavese a quelle della rapper inglese Kae Tempest; ora sto leggendo ‘Che ne è stato di te Buzz Aldrin’ di Harstad, è cominciato bene. ‘Salvare le ossa’ della Ward è il preferito tra quelli letti nell’ultimo anno. Ero bravissimo a sceglierli (ho un metodo preciso) ma sono diventato molto esperto anche nell’abbandonarli prima della fine. La musica è troppo liquida per dire un disco, il concerto che attendo è la reunion dei Frammenti che spero di fissare in estate nella mia città.

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schiaffoni

Mi diverto a disquisire intervistando gruppi musicali vari.